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di Andrea Raos (d’après Giraudon)
È la socievole Lascite (do-mina – littera) la notoria genitrice che, per esordire, senza indugio trascureremo in merito all’apatia reale. Di sottrarre una reale repulsione non sarebbe capace nessun adulto: la si tiene distante a lungo, la si lascia immobile sul letto, molte ore dopo la si accompagna dolcemente verso il soffitto, una volta, contro il lampadario. Gesto inconsulto compiuto una sola volta, in un momento a caso del giorno e dell’anno, fin da subito il non nato sarà sulla schiena. Distanti: l’ortonimo è già sveglio, del tutto intontito. (…) L’apatia reale è di conseguenza regolare e indifferente al moto del sole, all’atmosfera stabile dell’ambiente chiuso e soprattutto, con diversi soggetti, è del tutto chiaro che non dipende dal finire subito e dal continuare. Cancellare i colori esterni immobili a terra, stridenti perché intensissimi, per forza di cose nega questa odiosa indifferenza. Ricorda sempre che mantenersi sessualmente lontano dalle parti esterne della pietra ti darà la vita. Tuttavia spingiti a odorarne le premesse. L’immobilità strazia il vuoto secco sempre per meno di un minuto: per nessuno dura mai di più. Quando tutto aggredisce il maschio e sotto attacco dalle scolopendre, sempre lontane per tutto l’anno della tua inattività, lo ripulisco dal cibo, l’apatia è incompleta: strazi di lombi, nuca e spina dorsale. Non si nota, nel caos, il segreto della grande nascita… Ma già da prima l’organismo del dolore si era messo in moto. Radici e rami si agitano. Rapida la pietra si affloscia, l’odorato ci perde nella luce. La pianta si piega a fondo dopo essersi tirata indietro. Si racchiude, opercoli stretti, ritraendosi dagli alluci. Non la noti strappare le radici ed iniettarti linfa come scimmia pur avendo appena prima negato la tua contorsione di apatia, indifferente a chi non tornerà mai più.
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Voce: Andrea Raos
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Immagine: Andrea Inglese